Antonio Vivaldi
Concerti per fagotto & oboe
Sergio Azzolini, bassoon | Hans Peter Westermann, oboe
Naïve-Opus 111, 2004
The sound of the bassoon is a mysterious one, and just as mysterious will always be the circumstances surrounding the composition of the thirty-nine concertos written for the instrument by Vivaldi. Perhaps it was precisely the distinctive nature of the basson's timbre and its chameleon-like qualities that appealed to the "red-haired priest". In truth, the bassoon is whatever it wants to be: night, mystery, a ghost, melancholy, a storm, desire, and, above all, sensibility...
Details
Antonio Vivaldi
Concerto RV 481 in re minore per fagotto, archi e b.c.
Allegro | Larghetto | Allegro molto
Concerto RV 461 in la minore per oboe, archi e b.c.
Allegro non molto | Larghetto | [...]
Concerto RV 545 in sol maggiore per oboe e fagotto, archi e b.c.
Andante molto | Largo | Allegro molto
Concerto RV 498 in la minore per fagotto, archi e b.c.
Allegro: piano sempre | Larghetto | Allegro
Concerto RV 451 in do maggiore per oboe, archi e b.c.
Allegro molto | Largo | Allegro
Concerto RV 501 "La Notte" in si bemolle maggiore per fagotto, archi e b.c.
Largo | "Fantasmi": Presto / Presto / Adagio | Il Son(n)o" | "Sorge l'Aurora": Allegro
Sonatori de la Gioiosa Marca
Giorgio Fava, violino
Giovanni Dalla Vecchia, violino
Judit Foldes, viola
Walter Vestidello, violoncello
Giancarlo Pavan, violone
Giancarlo Rado, arciliuto & chitarra
Giampietro Rosato, organo & cembalo
Booklet
I concerti per fagotto “del Vivaldi”
Misterioso è il suono del fagotto e misterioso rimarrà sempre il fatto inerente ai 39 concerti scritti per questo strumento dal Vivaldi. Forse è proprio la caratteristica timbrica del fagotto e la sua capacità “camaleontica” che attirò il “Prete Rosso”. Il fagotto è infatti tutto ciò che vuole essere: notte, mistero, spirito, malinconia, tempesta, desiderio e soprattutto sensibilità. Il concerto in la minore racchiude un’atmosfera tipicamente fagottistica: malinconica e pervasa da affetti spiritosi, avvolta da un paesaggio lagunare ed un ambiente invernale veneziano, quasi un dipinto del Diziani. Il concerto in re minore, invece, richiama lo stile “Sturm und Drang”, dove il carattere tempestoso e quello sensibile si alternano dando a questa composizione un incredibile equilibrio d’”affetti”. Nel concerto intitolato “La Notte” appaiono i fantasmi e dopo l’intenso sonno sorge l’aurora accompagnata da suoni festosi e campestri. Il titolo del concerto per oboe e fagotto riporta diverse cancellature di titoli precedenti: la prima stesura: Cantata à Canto Solo con stromenti; la seconda stesura: Concerto per Flauto; la terza stesura: Concerto per Oboe e Fagotto. È molto interessante osservare che il carattere di questo concerto ricorda più una cantata (vedi I° movimento: Andante molto), che un concerto strumentale. Lo stile è già rococò ed estremamente elegante. Un Vivaldi preclassico!
Lo strumento
Dopo un intenso lavoro del famoso liutaio Peter de Koningh in collaborazione con Sergio Azzolini è nata la prima ricostruzione di un fagotto a 4 chiavi intonato a 440 Hz, il diapason veneziano all’epoca di Vivaldi. Questo fagotto è basato su uno strumento anonimo dell’inizio del 18° secolo (collezione privata Peter de Koningh), che è servito come ispirazione iniziale per il lungo lavoro, in parte empirico, di ricostruzione. Lo strumento possiede un timbro particolare che si adatta perfettamente al linguaggio vivaldiano, infatti la partitura del Vivaldi racchiude in se una verità nascosta sulle caratteristiche organologiche che questo strumento doveva possedere.
Sergio AZZOLINI
I Concerti per fagotto e oboe
Tra gli strumenti a fiato concertanti, non sorprende che Vivaldi, come i suoi contemporanei, abbia privilegiato l’oboe, che si ritrova sia integrato in orchestra per dare un tocco di tenerezza, sia vezzoso interprete di dolci arie per il suo registro che evoca la voce umana, evitando giudiziosamente i toni pastorali troppo banali, o ancora affrontando dei pericolosi passaggi riservati all’élite dei virtuosi. Inventato in Francia tra il 1660 e il 1680 era presto giunto a Venezia dove si apprezzava la sua duttilità in fatto di dinamica e di timbro. Dal 1703, nello stesso momento in cui la Pietà arruolava Don Antonio come professore di violino, veniva nominato Ignazio Rion, il primo responsabile del suo insegnamento. Seguirono, fino al 1709, Onofrio Penati, poi Luwig Erdmann, che suonava anche il chalumeau (salmò). Ma è sotto il segno di Ignazio Sieber, ingaggiato nel 1713, oboista ed eccellente flautista di traverso che Vivaldi compose la maggior parte di questo repertorio. Quattordici concerti di certa attribuzione di cui dieci sono conservati nei fondi di Torino. Tutti conobbero verisimilmente una collocazione all’interno dell’istituzione veneziana anche se alcuni furono pubblicati ad Amsterdam dove furono oggetto di commissioni private. I concerti RV451 in do maggiore e RV461 in la minore appartengono entrambi al grande periodo creativo 1723-30 durante il quale il maestro de’ concerti doveva fornire due concerti al mese. Lo stile radioso della maturità, ben riconoscibile, illumina le due opere. Parti orchestrali consistenti e variate negli episodi, lavoro gioioso e leggero del materiale tematico, fine ironia nei movimenti estremi, ritornelli in chiaroscuro per giustapposizione dei modi maggiore e minore di una stessa tonalità, contrasti accentuati di dinamica e di articolazione tra legato e staccato. I colori sono l’oggetto di un trattamento particolarmente curato: il solista è accompagnato alternativamente dal basso continuo degli archi acuti, poi dall’intero insieme orchestrale. Negli episodi, l’oboe è sottoposto a dura prova. Un trattamento virtuoso imposto, con audaci salti melodici, delle frasi in un cantabile di ampio respiro, delle sequenze di terzine o di figura ritmiche finemente diversificate. Nel movimento lento del concerto RV461, l’accompagnamento si riduce al violino e alla viola. Secondo il trattamento usuale, una lunga frase ornata è inquadrata fra due semplici frasi del tutti. Il Veneziano scrisse egli stesso i numerosi abbellimenti, lasciando al solista il compito di ornare le cadenze. Un grande Vivaldi!
Per deduzione, è sembrato logico a diverse generazioni di musicologi di ricondurre alla Pietà il repertorio più straordinario di tutta la produzione concertante: quello dei 39 concerti per fagotto di cui oggi non si ha traccia se non nella personale collezione del compositore. La testimonianza negli scritti del 1740 del memorialista de Brosses del “grosso strumento” suonato dalle trovatelle degli ospedali, li sosteneva in questa idea. Ma si sbagliavano. Nessuna composizione emblematica che metta in luce le risorse strumentali dell’istituzione ne implica l’utilizzo. Juditha Triumphans nel 1716, non più che i Concerti con molti strumenti RV555 del 1725 e RV558 del 1740 o il Nisi dominus RV803 del 1739, che presentano l’inventario di sonorità rare, dal violino in tromba marina alla viola all’inglese (la viola da gamba), dal mandolino al salmò (chalumeau). Ma non si incontrano mai dei «solo» del fagotto. Nessuna traccia, nessuna menzione del fagotto nei registri che ci sono giunti. Lo strumento, se mai entrò un giorno alla Pietà, doveva essere rilegato al ruolo subalterno di parte anonima del continuo, alla pari del violone. Tuttavia, Vivaldi dal 1717 offriva al fagotto un ruolo di accompagnatore obbligato nella sua opera L’incoronazione di Dario e gli imponeva delle parti altamente virtuosistiche nei suoi primi concerti da camera. L' interprete non era in quella occasione una putta della Pietà, ma probabilmente un prestante sassone al seguito dell’insieme da camera del Principe Elettore Federico Augusto (II) –che soggiornava allora a Venezia– che seppe destare in Vivaldi un interesse particolare per il curioso strumento, capace di suggerire secondo i registri, delle sonorità calde e rotonde, una naturale eleganza, un temperamento dolce, giocoso, ma a volte anche un’espressione grottesca e lugubre (imparentata con il basso-baritono del genere comico). Uomo delle sfide, il «Prete rosso» vedeva la sua creatività stuzzicata dagli imperativi dell’esecuzione, che esigeva un’abilità di dita e di fiato eccezionali, culminante nei rapidi cambi tra registri opposti. Vivaldi inventerà per lui il più ricco repertorio della storia della musica. Lo strumento della tradizione veneziana ben conosciuto nel XVII secolo, tagliato da un unico pezzo di legno e con sole due chiavi (la dulciana) era scomparso dall’Orchestra della Cappella di San Marco nel 1696. Lo strumento per il quale Vivaldi scriveva era diviso in quattro parti staccate a 3 o 4 chiavi, con una parte più lunga che produceva un suono diverso. Anche la tecnica della diteggiatura era particolare. Più esemplari giunti fino a noi risalgono a Johann Christoph Denner (1655-1707) di Norimberga, l’inventore del clarinetto, per il quale Vivaldi compose, ancora una volta, i primi concerti. Coincidenze? Se uno dei primi concerti scritti, il concerto RV496, fu inviato verso il 1725 all’illustrissimo Conte Sudetto Morzin, al quale Vivaldi aveva dedicato le sue Quattro Stagioni, la quasi totalità della produzione oggi conosciuta fu composta tra il 1728 e il 1737 per degli interpreti sconosciuti, forse anche per uno solo, amico di Vivaldi, che seppe mettere in risalto le sue qualità eccezionali di virtuoso. Il solo candidato proposto ad oggi è Giuseppe (detto Gioseppino) Biancardi, il cui nome è menzionato sul manoscritto del concerto RV502. L’ipotesi è plausibile, ma ancora fra-gile. Nato verso il 1700, intorno ai trent’anni doveva avere un’abilità nelle dita e un fiato pienamente espressi, necessari per affrontare, per esempio, il violento accento drammatico del Larghetto del Concerto RV481, molto teatrale, dove il solista riprende l’aggressivo tema del ritornello per poi domarlo in una lunga melodia. Il primo movimento, dal tema iniziale rudimentale con un ritmo che richiama una macchina da cucire, ripreso dal concerto per violoncello RV406, nella stessa tonalità, ha ugualmente un grande potere suggestivo. Il fagotto partecipa attivamente all’esposizione del primo tutti e contribuisce all’elaborazione del suo sviluppo. Il concerto RV498 è l’ultimo concerto di una serie di sei, scritti in epoche diverse, che Vivaldi pensò successivamente di riunire in una raccolta. Verso il 1737 circa. Per una pubblicazione? Su commissione? Non è dato saperlo. Egli senza dubbio amava il suo carattere originale con una spiccata ricerca di effetti speciali, come il piano sempre che segna l’Allegro iniziale, il suo linguaggio patetico dai caratteri complessi e polimorfi, o questa sequenza tonale curiosa tra i movimenti: la minore, fa maggiore e la minore. Ma il più innovativo dei concerti per fagotto uscito dalla fantasia vivaldiana è ancora precedente. Verso il 1725, forse per il conte Morzin, certamente per una corte, egli compose La Notte RV501, opera gemella del concerto RV104/439 per flauto traversiere, di analoga tensione drammatica e narrativa. I cinque movimenti contrastanti si succedono senza interruzione. Attraverso una cadenza del fagotto il solenne Largo iniziale introduce un Presto che sembra evocare i fantasmi, sul ritmo esuberante delle sue scale vorticose, delle note ribattute e di saettanti incroci di crome doppie e triple. Un breve Presto conduce alla dolce cantilena del sonno e al giocoso dinamismo del sorgere del sole (Sorge l’aurora), dove il fagotto tesse degli intrecci volubili su un contrappunto elaborato. Ancora una volta, l’idea della notte è abbinata da Vivaldi ad uno strumento a fiato. La tonalità dei movimenti, tutti in si bemolle maggiore contribuisce a una rappresentazione narrativa sorridente, culminante nel finale positivo e rassicurante. Punto d’orgoglio del récital, il Concerto per oboe e fagotto RV545, unica composizione conosciuta per questa formazione unica, ci immerge in un universo pre galante. Il filo conduttore dell’opera è certamente una volontà di autonomia per ciascuno dei due strumenti solisti. I temi sviluppati dall’orchestra, resi seducenti attraverso un acuto senso degli effetti ritmici, e quelli dei solisti, non hanno niente in comune. Le parti di oboe e fagotto sono ugualmente molto differenti. Non dei veri dialoghi ma degli effetti di opposizione. L’oboe canta delle ampie linee melodiche. Il fagotto galoppa in alto sfruttando con vivacità tutta la sua estensione, giustificando la sua funzione di «solo» attraverso un’effettiva elaborazione della linea dei bassi. Nel movimento lento, durante il quale l’orchestra è obbligata a tacere, esso diventa «tenore» indipendente al di sopra del basso continuo. Strategia semplice, di una gustosa efficacia.
Louis T. VATOISON
Trad. di Sabrina SACCOMANI
Info
Recording location: Chiesa di S.Vigilio (Col S.Martino),Italy, September 2003
Executive producer: Dr Richard Lorber (WDR) & Hervé Boissière
Recording producer: Luigi Mangiocavallo
Sound engineer & editing: Paolo Carrer, Infinity Studio
Total Timing: 59’ 15’’
Co-Production Westdeutscher Rundfünk [WDR 3] Köln | Regione del Veneto